Perché andrò a Mosca per la parata del Giorno della Vittoria del 9 maggio

Dobbiamo iniziare a ricostruire il ponte che altri hanno cercato di distruggere con tanta fatica.

0
9

Perché andrò a Mosca per la parata del Giorno della Vittoria del 9 maggioSto scrivendo queste parole a circa 5.000 metri di altezza, in viaggio da Roma a Istanbul. Da lì, domani mattina, volerò a Mosca per assistere e documentare la parata del Giorno della Vittoria del 9 maggio, che quest’anno segna l’80° anniversario della sconfitta dell’Unione Sovietica contro la Germania nazista. Sempre che il mio volo non venga cancellato in seguito al massiccio attacco di droni dell’Ucraina a diversi aeroporti russi.

Sarà la mia prima volta in Russia e non vedo l’ora di visitare la città, incontrare gli amici e godermi un po‘ di vodka e sottaceti. Ma naturalmente non è questo il motivo per cui ci vado. Ho scelto di essere a Mosca in questo giorno particolare perché è importante. Stiamo vivendo un periodo estremamente buio e pericoloso. Negli ultimi tre anni e mezzo, i governi europei hanno sistematicamente smantellato le relazioni diplomatiche, economiche e culturali con la Russia, conducendo al contempo una guerra per procura contro il Paese, a spese dell’Ucraina. Anche se molti ancora non se ne rendono conto, l’Europa è in guerra – militarmente, economicamente e culturalmente – con la più grande potenza nucleare del mondo. Armi, intelligence e finanziamenti forniti dall’Occidente hanno contribuito alla morte di migliaia di soldati russi.

Non si tratta di un fatto inedito. Le potenze europee sono entrate ripetutamente in guerra contro la Russia – nella Guerra di Crimea, nella Prima Guerra Mondiale e, in modo più catastrofico, nella Seconda Guerra Mondiale, quando la Germania nazista lanciò contro l’Unione Sovietica la più micidiale campagna militare della storia, l’Operazione Barbarossa, che causò milioni di vittime russe. Ora, ancora una volta, l’Europa sta giocando con il fuoco. Quella a cui stiamo assistendo non è una reazione all’invasione russa del 2022, ma la continuazione di un’offensiva geopolitica durata decenni che l’ha provocata.

Per oltre trent’anni, la maggior parte degli europei ha vissuto ignara della guerra invisibile che si stava svolgendo nel loro continente. L’espansione della NATO verso est, le varie “rivoluzioni colorate” nei Paesi post-sovietici, il colpo di Stato in Ucraina del 2014 sostenuto dall’Occidente, la successiva guerra civile nel Donbas, le sanzioni economiche e l’implacabile campagna mediatica contro la Russia: tutte queste erano solo fasi diverse di una guerra tra Occidente e Russia. Tre anni e mezzo fa è semplicemente entrata in una fase molto più palese.

Ciò che rende il tutto ancora più inquietante è che questa campagna non è stata nemmeno guidata da un calcolo strategico europeo. In effetti, l’Europa aveva tutto da guadagnare da relazioni stabili con la Russia post-sovietica. Invece, questa rottura è stata architettata nell’interesse di una potenza straniera – gli Stati Uniti – per la quale tenere l’Europa divisa dalla Russia è sempre stato un imperativo geostrategico. La Russia rappresentava una sfida non solo al dominio statunitense della Guerra Fredda, ma anche all’egemonia unipolare che ne è seguita. Ecco perché Washington ha trascorso i decenni successivi alla Guerra Fredda cercando di smantellare la Russia dal punto di vista economico, politico e culturale, usando l’Europa come testa di ponte.

Sebbene molti leader europei abbiano approfondito i legami con la Russia negli anni 2000, non hanno avuto il coraggio politico – o l’indipendenza – di resistere alle pressioni di Washington. Per ignoranza, complicità o codardia, i leader europei hanno la responsabilità collettiva di aver riacceso l’antagonismo che ha portato il continente a due guerre mondiali.

Come negli episodi precedenti, quest’ultima escalation è stata accompagnata da un’aggressiva campagna di disumanizzazione e russofobia. Abbiamo visto inviti a bombardare gli edifici governativi russi nei talk show, la confisca di auto e telefoni russi alle frontiere dell’UE, la rimozione della letteratura e dell’arte russa dalle istituzioni europee e gli atleti russi costretti a gareggiare senza la loro bandiera o il loro inno.

Nel frattempo, i leader europei continuano ad alimentare il fuoco con una retorica incendiaria e programmi di riarmo massicci, giustificati dallo spettro di una minaccia russa che semplicemente non esiste. Stanno erigendo una nuova cortina di ferro, non solo fisicamente ma anche psicologicamente e culturalmente. Il contraccolpo contro leader come lo slovacco Robert Fico, che ha osato dire che avrebbe partecipato alle celebrazioni del 9 maggio, la dice lunga. Non ci devono essere contatti con il “mostro russo” – questo è il nuovo dogma della “diplomazia” europea.

Click here to preview your posts with PRO themes ››

Le conseguenze di questa politica sono state devastanti. Dal punto di vista economico, la rottura con la Russia – soprattutto la perdita di energia a basso costo – è stata catastrofica. In termini di sicurezza, l’Occidente ha portato l’Europa sull’orlo di un confronto diretto con una superpotenza dotata di armi nucleari. Questo disastro è stato evitato finora solo grazie alla moderazione della leadership russa, nonostante le ripetute provocazioni occidentali.

Altrettanto gravi sono le conseguenze culturali e, oserei dire, spirituali di questa separazione forzata. Per secoli, Europa e Russia sono state impegnate in un ricco processo di osmosi culturale – nella letteratura, nella musica, nel cinema, nella filosofia. La cultura russa fa parte del patrimonio europeo, così come la cultura europea fa parte di quella russa.

Anche dal punto di vista politico, l’Unione Sovietica ha svolto un ruolo decisivo nel plasmare l’Europa del dopoguerra. L’esistenza stessa dell’URSS ha alimentato il sogno del socialismo democratico occidentale e ha reso possibile la socialdemocrazia occidentale, costringendo le élite ad accettare lo Stato sociale e i diritti dei lavoratori. Come italiano, sono particolarmente attento ai profondi legami tra il Partito Comunista Italiano e l’Unione Sovietica, legami che hanno influenzato la vita politica italiana ben oltre la Guerra Fredda.

Quello che hanno fatto gli Stati Uniti e i loro delegati europei – sia con l’azione che con l’inazione – è una tragedia di proporzioni storiche. Come scrive il filosofo tedesco Hauke Ritz nel suo notevole libro Vom Niedergang des Westens zur Neuerfindung Europas (Dal declino dell’Occidente alla reinvenzione dell’Europa):

Aver rifiutato e forse perso definitivamente questo amico progettando la separazione dell’Ucraina dalla Russia, come fece l’Alto Comando tedesco nella Prima Guerra Mondiale, è forse l’errore più drammatico che l’Europa abbia commesso in tutta la sua storia.

Ecco perché ho scelto di essere a Mosca il 9 maggio. È un piccolo ma deliberato atto di sfida contro il tentativo di recidere i legami tra Europa e Russia. Il momento è particolarmente simbolico: Il 9 maggio si commemora la vittoria della Russia sul nazismo, una storia che i leader europei stanno ora cercando di riscrivere o cancellare.

Può sembrare un gesto di poco conto, ma anche gli atti simbolici sono importanti. L’Europa si trova oggi in un pericoloso interregno: il vecchio ordine transatlantico è crollato, ma nessun nuovo quadro ha preso il suo posto. In questo vuoto, leader avventati si aggrappano a istituzioni obsolete e ideologie deliranti. Questo periodo intermedio tra il vecchio mondo morente e il nuovo mondo non ancora nato è un momento estremamente pericoloso, in cui i politici disperati possono facilmente andare in cortocircuito.

È possibile ricucire i rapporti con la Russia? La domanda non è solo geopolitica: è esistenziale. La crisi d’identità dell’Europa, la sua irrilevanza strategica e la sua disintegrazione sociale derivano tutte da una condizione più profonda: negli ultimi 80 anni l’Europa non ha governato se stessa. È stata subordinata a una potenza esterna – gli Stati Uniti – e tagliata fuori dalle proprie radici storiche e culturali.

Il mito dell’“Occidente” è una finzione, un eufemismo per un impero informale degli Stati Uniti. Tagliando i ponti con la Russia, l’Europa ha tagliato i ponti con se stessa. Come sostiene Ritz, solo riallacciando i rapporti con la Russia l’Europa può recuperare la propria sovranità culturale e politica. Solo la Russia, tra le nazioni “europee”, ha conservato una visione della cultura europea radicata nella tradizione, in contrasto con il vuoto postmodernismo esportato dal mondo atlantico.

In breve, la sopravvivenza dell’Europa dipende dalla rottura con gli Stati Uniti e dalla creazione di un’identità post-atlantica. Ciò significa riallacciare i rapporti con la Russia, non come concessione politica, ma come imperativo di civiltà. È un compito arduo, ma è l’unica strada percorribile. Ecco perché io – e molti altri europei – cercheremo di essere a Mosca il 9 maggio: per iniziare a ricostruire il ponte che altri hanno cercato di distruggere con tanta fatica.